“Introduzione di M. Cristina Nardone”
All’inizio di ogni percorso di formazione ci si focalizza ad apprendere le competenze e le tecniche specifiche, nel nostro caso della comunicazione, del problem solving e coaching Strategico; come quando si va a scuola guida per imparare le regole di base per guidare un automezzo e muoversi sulle strade. Inizialmente si è completamente focalizzati su questi due aspetti e quasi ci si dimentica che sulle strade ci sono anche altre persone che a loro volta stanno guidando. Dopo aver svolto un certo numero di ore formative, il guidatore, così come il problem solver, può sentire l’esigenza di avere un feedback più raffinato sulla propria pratica, volendo diventare un guidatore più sicuro ed esperto.
Così con questo percorso vorrei rendere disponibile a chi voglia continuare a migliorarsi, le applicazioni del Modello e l’adattamento, anche delle singole tecniche, ai contesti più disparati, continuando ad approfondire, ed aggiungendo ESPERIENZE oltre che contenuti per non lasciare nulla al “caso“, che comunque come ci insegna Alexander Fleming, “aiuta solo le menti preparate“.
Ogni strategico sa che con “APPARENTI” semplici soluzioni “, guidiamo persone e gruppi, ad uscire da situazioni critiche, a sentire, percepire, fare le cose diversamente, attraverso l’uso di logiche non ordinarie. Ciò che dovremmo altrettanto aver chiaro è che la comunicazione, le strategie e le tecniche che compongono il Modello Strategico vanno costantemente adattate alle persone e al contesto con inventiva e flessibilità applicativa.
Purtroppo sappiamo che l’invenzione creativa non è il guizzo di genio, ma l’analisi di un problema che permette di vederlo da prospettive non ordinarie e la capacità di trovare i più funzionali espedienti che violino le logiche ordinarie che impediscono alle persone di gestire e/o cambiare la realtà e questo va esercitato costantemente altrimenti si corre il rischio di diminuire drasticamente la propria efficienza.
Sappiamo anche che il modello ci modella, e se lo applichiamo male, ci modelliamo male!
Per questi motivi la supervisione è uno strumento che può aiutare i ‘supervisionati’ a lavorare sui propri limiti per poter passare DAL FARE, ALL’ESSERE STRATEGICI, con un proprio stile.
Sulla base delle continue richieste pervenuti negli anni, è emerso chiaramente che per ogni professionista del cambiamento strategico, che sia problem solver, counselor o coach, è fondamentale poter esplorare e rafforzare tre dimensioni:
- Aumentare le competenze specifiche sul modello (il Fare) come detto sopra.
- Continuare a lavorare sul proprio sviluppo personale rispetto alla relazione con il mondo (l’Essere)
- Gestire la relazione con se stessi, la più oscura, la nostra interazione con il mondo che ci circonda che ci guida nelle strategie che adottiamo per gestirlo a partire dalle nostre esigenza e dalle nostre aspettative.
ANCHE NELLA MIA ESPERIENZA, HO DOVUTO FARE I CONTI CON QUESTE DIMENSIONI E SOPRATTUTTO SUL QUANTO SIA DIFFICILE LAVORARE SU NOI STESSI PER EVITARE DI INTRAPPOLARCI IN RIGIDI FRAME CHE CI POSSONO IMPEDIRE DI PERFORMARE.
PURTROPPO NESSUNO È IMMUNE DAGLI AUTOINGANNI DISFUNZIONALI CHE VENGONO A COSTRUIRSI INCONSAPEVOLMENTE!
- Permettetemi un esempio: < un giorno un ex allievo mi comunica una sua difficoltà ad avere clienti che possano portare situazioni in cui ci siano aspetti emotivi legati alla paura di perdere il partner amoroso>. Facendo qualche domanda strategica, emerge una difficoltà del consulente a gestire le proprie emozioni in queste situazioni, dove la sua morale gli impedisce di guidare il proprio cliente, senza interferire nelle sue decisioni a risolvere una situazione dolorosa. A quel punto è evidente che il Counsel Coach Strategico, a livello inconscio, sta auto sabotando la propria pratica, ma soprattutto la possibilità di espandere il proprio business.
Questo è un caso da supervisione. Il consulente strategico che lavora sulle proprie dinamiche può sciogliere gli eventuali sabotaggi e finalmente ‘SENTIRSI’ ed “ESSERE” uno strategico, superando continuamente i propri limiti.
In conclusione di questa introduzione a questo percorso, voglio usare ancora la metafora della guida di un auto.
Per imparare bene a guidare è importante fare molti chilometri su varie strade, in diversi percorsi e luoghi; sarà proprio la pratica ad aiutarci a ‘sentire’ che la nostra guida è diventata fluida e naturale. Dopo un po’ di tempo si riuscirà a gestire al meglio tutti gli eventuali ostacoli e difficoltà che la strada può presentare.
Essere un eccellente guidatore richiede il PIACERE per trovare il nostro stile, unico e irripetibile ma soprattutto tanta “buona pratica” dove qualcuno ne sa più di te, perché come ben sappiamo l’esperienza non sempre insegna a migliorare, spesso ci insegna solo a sbagliare meglio.
Buona guida a tutti. M. Cristina Nardone