«Se non fossi una strega direi che la situazione sembra stregata» si lamentava Ecate in occasione di un recente incontro al vertice avvenuto nella villa sul Mediterraneo. «Ci logoriamo di lavoro per far sì che gli uomini siano convinti che esiste una unica visione della realtà, cioè la propria; li suggestioniamo fino a persuaderli di sapere con assoluta certezza cosa c’è nella testa degli altri, in modo che ogni verifica appaia inutile è eppure c’è sempre qualcuno che esce dai ranghi e rovina tutto».
Mi hanno molto colpita le risposte che Zuckerberg, ospite di una università italiana in questi giorni, ha dato ai tanti studenti. A chi gli chiede se i social come Facebook abbiano finito per danneggiare i rapporti umani, Zuckerberg ricorda che un like non potrà mai sostituire un sorriso. Tuttavia difende la bontà del suo progetti (come è ovvio che sia): «Se avessi pensato che roviniamo la comunicazione, avrei cambiato il prodotto. La maggior parte delle persone non usa Facebook come sostituto della comunicazione reale, nulla sostituisce la realtà ma Facebook dà la possibilità di comunicare a chi normalmente non lo farebbe».
Bisognerebbe ricordare al sig. Zuckerberg che molte persone pensano che essere “connessi in rete” sia l’unico modo per comunicare e avere relazioni umane, così come pensano alla comunicazione come mero metodo per passare informazioni. Inoltre l’affermazione di una realtà unica-vera, indiscutibile e inconfutabile è, da sempre, l’espressione degli assolutismi. L’illusione di essere portatori di una verità esclusiva, una realtà vera, che Zuckerberg definisce comunicazione reale, è sintomo di una visione della realtà molto più distorta di quanto si possa immaginare. Le correnti di pensiero più moderne e meno aggiogate ai vincoli culturali classici, vedono invece nella verità una percezione soggettiva, e quindi multipla.
L’espressione “non esiste una verità (realtà) ma molte verità“, lascia perplessi ad una prima lettura. Bisogna abituarsi, prima di accettare questa affermazione, a riconoscere la relatività del pensiero. Ogni pensiero, e quindi ogni percezione di realtà, è frutto di una posizione particolare del soggetto che la interpreta. Quindi “vera” in quelle condizioni e solo in quelle. L’entrata in scena di altre variabili non smentisce la realtà precedente ma ne produce un’altra, non meno “vera”.
L’ambiente di Internet è stato per anni considerato come un mondo alternativo assai distinto dalla realtà: tradizionalmente si riteneva che attraverso la Rete fosse possibile svolgere numerose attività (cercare informazioni, comunicare, chattare, ecc…) senza però avvicinarsi minimamente alle possibilità relazionali e comunicative del mondo esterno, fatto di carne ed ossa e di individui concreti con “patente” di vera realtà.
Ma, come sappiamo, tutto ciò che è creduto è reale e, come tale, ha degli effetti, per cui, la costruzione di una realtà basata su Internet, sempre più complessa e ricca di interazioni (messaggi scritti, comunicazioni vocali, stimoli visuali, ecc…) ha portato un mondo prima sottomesso e alternativo a raggiungere livelli di dignità ed importanza come “reale” all’inizio impensabili.
Nietzsche per primo aveva definito la realtà come frutto della finzione, e la realtà socialmente costituita come frutto della condivisione di tale finzione. La realtà risulta così essere il prodotto di “un’invenzione” di cui poi la gente dimentica l’origine e la acquisisce quale dato di fatto del reale. Egli afferma infatti che “le verità sono illusioni che abbiamo dimenticato essere illusioni”.
Osservata da questo punto di vista, la realtà risulta quindi essere sempre anche virtuale, almeno in qualche misura. Quindi, nel trovarci di fronte a qualcosa di chiaramente virtuale non dobbiamo cadere nell’errore di escludere da questo l’aspetto reale che, come abbiamo appena detto, ne è parte costituente e, come tale, avrà degli effetti. Percepire e sentire divengono, quindi, le chiavi di svolta del processo di trasformazione che fa del virtuale una realtà con effetti concreti.
La letteratura scientifica ha già da vari anni dimostrato, che la presenza di un mezzo tecnologico non determina l’annullamento degli aspetti emotivo-cognitivi di una situazione. E’, infatti, esperienza comune arrabbiarsi o gioire al telefono, emozionarsi durante la proiezione di un film, identificarsi con passione nei personaggi della televisione.
Anche collegandosi ad Internet è dunque possibile provare emozioni vere, che hanno tutte le caratteristiche di quelle reali e che a volte risultano indistinguibili da quelle provate in ambienti più tradizionali: come, infatti, distinguere la delusione per un mancato appuntamento, fissato nella realtà, dalla tristezza per una mancata chat notturna, fissata virtualmente?
Le nuove tecnologie ci permettono dunque di vivere esperienze in ambienti più o meno virtuali che poi hanno ripercussioni ed influenze sulla realtà giornaliera. In altre parole, il virtuale con i suoi “reali” effetti personali ed interpersonali, si sostituisce al reale.
Di fatto, oltre agli inevitabili vantaggi che la rete offre ai suoi milioni di utenti, in questi ultimi anni stanno diventando sempre più evidenti le conseguenze negative sull’uomo (e sulle aziende) di questa nuova tecnologia.
Chi come me lavora nel mondo delle “tante realtà problematiche aziendali” (oltre che individuali) sa bene che queste vengono a costituirsi proprio con il nostro modo di comunicare, un modo sbagliato che non prende in considerazione gli “effetti” del nostro comunicare sulle azioni che vengono alimentate dalle parole che si usano, da come si comunicano e come si assemblano le frasi che usiamo.
Certo una strategica non dovrebbe dire che c’è un modo giusto ed uno sbagliato ma in questo caso invece posso affermare che esiste un modo, un metodo che funziona e non perché lo dico io, parlano i risultati che si ottengono grazie alla sua applicazione.
Avere strumenti comunicativi evoluti (come il Dialogo Strategico) che ci permettono di guidare la comunicazione, fare piani strategici, creando le “realtà desiderate” per gestire il continuo cambiamento, al quale persone e aziende sono continuamente sottoposte può fare la differenza.
C’era una volta un uomo seduto all’ingresso di una città. Un giovane si avvicinò e gli chiese: “sono nuovo di qui, com’è la gente che abita in questa città?”
Il vecchio rispose: “dimmi, com’era la gente nella città da cui provieni?” “Egoista e cattiva, ed è per questo che ero contento di andare via”. “Troverai la stessa gente anche qui” rispose il vecchio.
– Qualche tempo dopo, un altro giovane si avvicinò e fece la stesa domanda: “sono appena arrivato, dimmi, com’è la gente di questa città?”.
Il vecchio rispose allo stesso modo: “dimmi ragazzo, com’era la gente della città da cui provieni?” “Era gente buona, accogliente, benevola e onesta. Ho molti amici là e ho fatto fatica a lasciarli”. “Troverai la stessa gente anche qui” rispose il vecchio.
Un mercante aveva ascoltato le due conversazioni e , appena il secondo giovane si allontanò, rimproverò il vecchio: “come puoi dare risposte così diverse alla stessa domanda posta da due persone?”
Il vecchio rispose: “perché vedi, la realtà è nei nostri confronti ciò che noi vediamo in essa”.
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