Si è spesso portati a pensare che nella Sanità le competenze specialistiche siano sufficienti per fare di un medico un “bravo medico”, così come si è ancora frequentemente portati a pensare che sia sufficiente formarsi ed effettuare aggiornamenti prevalentemente su tematiche tecniche relative a procedure terapeutiche e diagnostiche, per ottenere buoni risultati clinici.
Ma quanti medici che esercitano la loro professione nei reparti ospedalieri, oggi si sentono un po’ come il dottor House ed i suoi assistenti? Incastrati tra ciò che andrebbe fatto per il bene del paziente e ciò che le procedure standard richiedono; schiacciati tra ciò che ritengono corretto dire al paziente e ciò che sarebbe più efficace dire per ottenere compliance e guidare il malato verso le scelte più difficili ma più idonee al singolo caso; strattonati tra le domande dei parenti di pazienti minorenni, molto anziani o comunque spesso non in grado di prendere autonomamente decisioni e le indicazioni di una direzione ospedaliera molto attenta ai rischi giuridici della professione; in equilibrio precario tra quello che il ruolo rivestito pretende e quello che il buon senso richiederebbe; costretti a limitare i propri interventi anche sul proprio staff in virtù di ruoli troppo spesso forzatamente vincolati a regole eccessivamente rigide.
Regole che tuttavia hanno la loro utilità ed il loro valore, ma che troppo spesso generano l’inefficacia causata dal fatto che “chi decide” non sa cosa voglia dire “stare in prima linea”.
Così, se il giuramento di Ippocrate chiede di mettere in primo piano il bene e la salute dei pazienti, la realtà troppo spesso rischia di produrre inefficacia e frustrazione proprio nell’operatività di tutti i giorni.
E allora che fare? Rassegnarsi o imparare ad aumentare la propria efficacia e quella del proprio staff con logiche meno ordinarie di quelle fino ad oggi utilizzate, ma comunque rispettanti le normative e mirate al bene dei pazienti?
Sulla scorta di un’esperienza realmente vissuta, ho provato ad immaginare come sarebbero andate le cose se i medici con cui la protagonista del dialogo si è confrontata fossero stati dotati della preparazione e capacità di utilizzare una comunicazione strategica efficace. Ben consapevole che, se l’aspetto tecnico e terapeutico può essere gestito adeguatamente da regole e procedure, l’aspetto relazionale, che si basa sull’efficacia persuasoria e la capacità di creare consenso sia nello staff che verso i pazienti e i loro parenti, è in realtà ciò che può fare una notevole differenza tra successo ed insuccesso terapeutico. Buona lettura.
“I bambini non dovrebbero ammalarsi mai……..” Questo pensava Anna accoccolata sulla sedia accanto al letto di Luca, mentre cercava mentalmente di rimettere a posto le idee e trovare un percorso che la aiutasse ad avere le informazioni necessarie per decidere il da farsi.
Che la complessità dei processi interni unita alla confusione e alla debolezza relazionale degli operatori sarebbero stati gli aspetti più difficili da gestire, più della malattia stessa, l’aveva avuto chiaro da subito, da quella interminabile ed incomprensibile notte in corridoio che non era servita a nulla se non, forse, a giustificare che non sapevano decidere se Luca era un paziente pediatrico da ricoverare o un bambino con le convulsioni febbrili da rimandare a casa subito….
Il fatto è che l’episodio non era apparso tipico : Luca era all’improvviso caduto all’indietro, rigido in tutto il corpo, con un braccio sollevato, gli occhi vitrei, apparentemente senza respiro
Non certo una di quelle che definiresti crisi epilettica, non come te la immagini non avendola mai vista….
Anna aveva fatto un po’ di tutto, le manovre di base imparate in quei corsi di primo intervento che a volte è obbligatorio frequentare in alcuni ruoli aziendali.
L’aveva insufflato, perché era grigio e senza respiro; l’aveva bagnato poiché la febbre alta poteva far pensare alle convulsioni febbrili; ed infine l’aveva adagiato in posizione di sicurezza, su un lato, in modo che nulla potesse soffocarlo.
I ragazzi del 118 avevano detto che aveva fatto le cose giuste. D’altra parte una mamma, travolta dalla paura, cosa volete che faccia? Ho visto madri medici paralizzarsi davanti ad un piccolo incidente che aveva prodotto un taglio in fronte, molto sanguinante…… Figuriamoci una mamma che magari non ha alcuna nozione di pronto intervento……
Al pronto soccorso Luca si era ripreso immediatamente ma era passato del tempo prima che si potesse avere attenzione. La dottoressa era sola quella notte e si divideva tra pronto soccorso pediatrico e interventi d’urgenza in reparto. Fuori in sala d’aspetto c’era una folta fila di genitori con bambini, popolazione almeno tripla rispetto ai singoli piccoli pazienti , tanto da faticare a definire con chiarezza quanta gente dovesse davvero vedere. Questo la rendeva molto nervosa. Brusca, veloce nelle azioni, apparentemente sbrigativa, forse preoccupata dal rischio di urgenze che non le avrebbero consentito di evadere le visite più banali…..perché in pronto soccorso pediatrico si va anche per le piccole cose : forte mal di gola, pianto ricorrente e stabile, febbre alta…… essere mediatori di bambini non è facile, così nel dubbio i genitori li caricano in macchina e li portano qui, come se la risposta tranquillizzante “non è altro che una tonsillite, prenda questo antibiotico” risultasse curativa per i genitori più che per il bambino.
L’attesa si prospettava lunga. Una notte infinita in osservazione al pronto soccorso pediatrico, gli occhi fissi a guardare il respiro di Luca che dormiva stremato, con un’unica distrazione: la voce della dottoressa di turno, la stessa che li aveva ricevuti, che in corridoio raccontava urlando ad un’infermiera di “quella pazza isterica di una madre che aveva fradiciato d’acqua il figlio per fargli scendere la febbre”… Frasi di certo poco rassicuranti da ascoltare, per una madre che ha il timore e al contempo la fretta di sapere cosa sia accaduto al figlio poche ore prima, che dai medici vorrebbe risposte e chiarezza, non battute sarcastiche fatte al solo scopo di far passare una lunga nottata come tante… ma non per un genitore…
Il giorno dopo, la conferma di un ricovero per accertamenti ed il trasferimento al reparto di pediatria.
Il reparto era pieno di bambini ricoverati per ogni sorta di patologia, accertamento, intervento. Alcune famiglie venivano da lontanissimo ed avevano fatto un lungo viaggio per poter dare al proprio figlio la cura migliore.
“Ci tengono qui da giorni ed ancora non ci spiegano nulla…” diceva ad Anna una giovane madre che teneva in braccio una bimbetta con un occhietto bendato.
“L’intervento è finito…no, non ci dicono nulla…pare sia andato bene, adesso è in rianimazione hanno detto…no, non ce lo fanno vedere…e chi lo sa…siamo nelle loro mani…” commentava un padre preoccupato al telefonino con qualche parente lontano e altrettanto preoccupato.
Così anche per Anna iniziava quella che per i medici può diventare routine, ma che per un genitore di un piccolo paziente non lo è mai.
Analisi del sangue, elettroencefalogramma in privazione di sonno, risonanza magnetica forse con sedazione e contrasto. Questo era secondo lo specialista l’iter più corretto da seguire, il protocollo d’indagine previsto per casi come quello di Luca.
Anna non è una che sta a guardare, vuole sapere, lo farebbe per se stessa figuriamoci per il figlio. Così attacca con le domande e pretende risposte: ” Ma si devono fare le indagini in questa sequenza? Sono preoccupata per il liquido di contrasto…in famiglia abbiamo tutti problemi di allergie…si può pensare di farlo solo se gli altri esami lo indicano come indispensabile? Cioè, solo se ci fossero immagini della risonanza senza contrasto che segnalano punti da esplorare con più chiarezza? E la sedazione è indispensabile? Ma ci sarà un anestesista con Luca?”
Il medico sembra rassicurante nelle sue risposte anche se si mostra un po’ spazientito e sgrana gli occhi a tutte quelle domande,” in fondo – si starà dicendo – il medico sono io e la signora dovrebbe fidarsi ad occhi chiusi!”. Comunque alla fine spiega a Anna che sì, quella è la sequenza di indagini da protocollo, che prima si fa l’elettroencefalogramma e poi si vedrà se fare la risonanza, non è detto, che in questo caso non necessariamente si dovrà sedare Luca, non necessariamente si dovrà usare il liquido di contrasto e che comunque c’è sempre un anestesista ed anche lui, lo specialista che segue Luca, sarà lì per valutare in tempo reale le immagini della risonanza così da poter decidere con i genitori al momento cosa è più opportuno fare. Così Anna si tranquillizza, non resta che attendere.
Poi la confusione. L’elettroencefalogramma salta per un disguido organizzativo così che la risonanza viene anticipata e la sequenza delle indagini da protocollo ribaltata.
Anna torna a fare domande, torna ad attendersi risposte chiare, ma questa volta le risposte sono confuse e differenti dalle precedenti, “perché – le dicono altri medici ed infermiere che turnano nel reparto – no, il protocollo non c’entra, la risonanza deve essere fatta comunque e comunque con il contrasto e la sedazione.”… E ancora che “no, non ci sarà l’anestesista, l’anestesista si chiama se c’è un’emergenza, tanto è lì in giro nel reparto”…E nuovamente “certo che no, non ci sarà lo specialista che segue Luca, perché la risonanza si farà alle otto del mattino e non alle undici come previsto e lui a quell’ora ancora non è in reparto”…”ma tanto che importa, mica penserà davvero che tutte le volte lo specialista stia lì a guardare le immagini con il tecnico della risonanza? Piuttosto, firmi il modulo di consenso all’uso del liquido di contrasto, e non c’è bisogno che dica a suo marito di venire qui per le otto del mattino che già vi facciamo un favore a voi genitori a farvi entrare uno solo”…
Anna è confusa, spaventata per il figlioletto ma anche arrabbiata perché si sente presa in giro. Le dicono, smentiscono e riconfermano cose nel giro di poco, come se avessero solo bisogno di togliersi di torno un problema che interferisce con i loro programmi. Ma quel problema è una madre preoccupata per il proprio figlio! Possibile non lo capiscano?
Certo Anna non ha le competenze per dire se quei medici e quelle infermiere si stiano prendendo cura di suo figlio al meglio, ma la difficoltà di comunicazione, la poca chiarezza, la poca preoccupazione rispetto al suo stato d’animo ed alle perplessità di genitore, le fanno perfino dubitare delle loro capacità professionali.
Così Anna non ci pensa molto, fa qualche telefonata per prendere alcune informazioni, firma un modulo in cui si assume ogni responsabilità e, sotto gli occhi sbigottiti di medici ed infermiere, porta via Luca pensando di completare gli accertamenti in un momento successivo e semmai altrove.
Al pronto soccorso la dottoressa visita Luca e chiede a Anna di raccontarle quanto è successo. Al resoconto di Anna su come avesse prestato i primi soccorsi al figlio le spiega con tono comprensivo che “Certo signora lei si deve essere spaventata molto. Nel caso di suo figlio le manovre che lei ha effettuato non erano necessarie ma nemmeno dannose…per fortuna… E lei ha agito d’istinto per amore del suo bambino. Ma sa…anche i genitori che cercano di addrizzare la gamba che il figlio si è fratturato cadendo pensano di fare una cosa giusta e magari rischiano di complicare la frattura… Così come quelli che, in caso di ingestione di sostanze chimiche da parte di un bimbo piccolo, gli fanno bere il latte perché hanno sentito dire che disintossica non sapendo che con certe sostanze chimiche reagisce potenziandone la tossicità…. Certo un genitore ha una grossa responsabilità verso la vita di un figlio… per fortuna oggi ci sono molti canali per apprendere cosa sia meglio fare in certi casi, corsi offerti dalle associazioni, internet, portali dedicati… e non si finisce mai di imparare. Comunque è stata brava, ha reagito malgrado l’ansia del momento”.
Anna riflette su quanto la dottoressa le ha spiegato perché, anche se non è stata mai esplicita e non le ha mai puntato il dito contro, quella donna l’ha portata a comprendere che avrebbe potuto anche fare cose pericolose per il figlio. Non è seccata di quanto le è stato spiegato, anzi, è grata a quella dottoressa che le ha aperto gli occhi verso un altro punto di vista, più utile di sicuro.
Quando il bambino viene trasferito in reparto per gli accertamenti, Anna non sta a guardare, vuole sapere, lo farebbe per se stessa figuriamoci per il figlio. Così attacca con le domande e pretende risposte: ” Ma si devono fare le indagini in questa sequenza: elettroencefalogramma e risonanza? Sono preoccupata per l’uso del liquido di contrasto…si può pensare di utilizzarlo solo se gli altri esami lo indicano come indispensabile? Cioè, solo se ci fossero immagini della risonanza senza contrasto che segnalano punti da esplorare con più chiarezza? E la sedazione è indispensabile? Ma ci sarà un anestesista con Luca?”
Il medico che ha in carico il caso del piccolo Luca le risponde: “Mi scusi signora, mi aiuti a capire…lei è preoccupata perché teme che queste indagini vogliano dire che stiamo sospettando qualcosa di serio o la preoccupano le indagini in sé?”
Anna: “Un po’ tutte e due le cose…”
Medico: “Ma le fanno paura tutti gli esami in generale o qualcuno in particolare tra quelli che riteniamo di dover fare?”
Anna: “No…non tutti… è la risonanza che….ecco, mi preoccupa”
Medico: “La preoccupa perché teme che possa far emergere qualche patologia seria o perché è un esame invasivo?”
Anna: “Bè…oddio! Certo se ci fosse qualcosa di preoccupante sarebbe importante saperlo prima possibile, giusto? No, soprattutto mi preoccupa perché è un esame molto invasivo…lui è così piccolo…”
Medico: “Lo ritiene un esame invasivo in generale o per l’uso del liquido di contrasto?”
Anna: “E’ il liquido di contrasto che mi preoccupa!”
Medico: “Ma la spaventa in generale l’idea di una sostanza chimica ed estranea che viene iniettata nell’organismo del bambino o per il rischio di una reazione allergica?”
Anna: “Ecco, sì, è proprio questo il punto! Le reazioni! Sa, noi in famiglia siamo tutti allergici a qualcosa…”
Medico: “Certo, capisco molto bene… Ma la sua preoccupazione è dovuta al fatto che Luca si è già manifestato allergico a qualche cosa, oppure ad oggi lui non ha mai avuto allergie?”
Anna: “…No… Effettivamente Luca non ha mai avuto reazioni allergiche… Ma sa… potrebbe capitare… oppure no…”
Medico: “Comprendo la sua preoccupazione, purtroppo le indagini cliniche, le indagini diagnostiche visive come la risonanza, sono gli unici strumenti che oggi in medicina abbiamo per fare chiarezza su molti casi, compreso quello di suo figlio. L’elettroencefalogramma da solo non darebbe risposte sufficienti perché per comprendere bene quanto accaduto i due esami, risonanza ed elettroencefalogramma, vanno comparati. Fare prima uno e poi l’altro, non cambia, abbiamo bisogno comunque di entrambi per avere un quadro completo. Potremmo avere la necessità di usare la sedazione per far rimanere fermo il bambino durante l’esame, ed il liquido di contrasto per approfondire l’indagine clinica… Siete in una struttura attrezzata per ogni eventualità… Ma è ovvio che la scelta deve essere sua… Lei preferisce uscire da qui sapendo esattamente cosa è accaduto a suo figlio così da poterlo curare o, per non utilizzare il mezzo di contrasto nella risonanza e la sedazione che le possono sembrare pericolosi, sarebbe disposta ad uscire da qui senza sapere esattamente cosa ha suo figlio e come evitare che possa ricapitare? Pensa che per la salute di suo figlio possa essere più rischioso fare questi accertamenti, qui in un ambiente protetto, o non sapere se possa avere necessità di terapie? E nel malaugurato caso, ma auguriamoci non sia così, che vi fosse qualcosa su cui sarebbe importante intervenire subito, ritiene sarebbe più utile scoprirlo ed intervenire rapidamente così da dare le migliori opportunità al bambino, o chiudere gli occhi con il rischio che qualcosa di più serio possa accadere in seguito?”
Anna continua ad essere inevitabilmente preoccupata, quale genitore non lo sarebbe, ma il messaggio del dottore è chiaro: per il bene ed il futuro di Luca gli esami vanno fatti e vanno fatti come il caso richiede.
In reparto lo staff si è confrontato e si tiene via via aggiornato sul caso di Luca, così come su ogni altro piccolo paziente, ma anche sulle necessità di questa madre che chiede risposte e chiarezza, così tutti sono allineati e non si generano fraintendimenti. Questa volta la “fuga” dall’ospedale è stata evitata.
In pochi giorni c’è una diagnosi tranquillizzante ed una terapia. Luca e la sua mamma possono tornare a casa ed alla normalità.
Nella memoria di Anna resteranno la consapevolezza di aver potuto scegliere insieme ai medici per il bene di Luca e le parole di quel medico, quando lei si è scusata con lui per le tante, temeva forse troppe, domande: “Signora, lei DEVE fare domande e DEVE avere risposte! Non sarebbe una brava madre preoccupata per la salute di suo figlio se non facesse domande e non pretendesse risposte”
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