La prima è quella per cui, pur concordando sull’obiettivo di utilizzare e valorizzare le risorse disponibili, possiede una metodologia estremamente efficace ed originale per sbloccare le eventuali trappole che impediscono il pieno utilizzo delle capacità del soggetto.
Il coach strategico guida la persona o il gruppo a sviluppare nuove prospettive e percezioni della realtà e delle proprie risorse, a vivere esperienze nuove e spesso inaspettate, e, grazie a questo, a sviluppare le capacità necessarie per ottenere più elevati livelli di apprendimento, performance e gratificazione.
Da questo punto di vista il coaching strategico è fondamentalmente un percorso di “autosviluppo”, in cui la persona viene guidata a far emergere potenzialità e risorse che potrà poi utilizzare anche in contesti e situazioni differenti rispetto a quelli che hanno fatto emergere la richiesta di quello specifico percorso di coaching. E questo lo rende uno strumento decisamente più potente di altre forme tradizionali di coaching, spesso centrate esclusivamente sul conseguimento di un risultato circoscritto e immediato piuttosto che sullo sviluppo del potenziale della persona.
Per far questo il coach strategico si concentra esclusivamente sul processo (il “come”) che lo porterà a guidare la persona a sbloccare e sviluppare le proprie risorse, disinteressandosi del contenuto delle risorse e dei blocchi (il “cosa” e il “perché”) su cui dovrà lavorare. In questo modo permette al cliente di poter lavorare su quelli che percepisce essere i suoi limiti o le sue difficoltà senza doverli dichiarare. E questa è un’altra delle caratteristiche più peculiari che differenziano il coaching strategico dai percorsi di coaching tradizionali, che richiedono invece l’esplicitazione, da parte del cliente, del contenuto degli obiettivi e delle difficoltà su cui lavorare.
Tutto questo è reso possibile grazie alle profonde radici teoriche ed epistemologiche a cui il coaching strategico attinge, così come alla estesa pratica operativa, sperimentata e consolidata nei contesti più differenti inerenti al cambiamento e alla crescita personale.
Il coaching strategico, infatti, rappresenta una delle ultime evoluzione applicative dei principi teorici e metodologie operative elaborati da Nardone e dal suo team, applicati e affinati sia nell’attività clinica che nell’ambito organizzativo. Contesti estremamente esigenti, in cui le capacità del professionista di trovare soluzioni specifiche e produrre rapidi cambiamenti assumono anche una valenza “economica”, nella direzione di ridurre al minimo i “costi”, esistenziali e materiali per la persona o l’organizzazione.
A questo riguardo il patrimonio a disposizione del Coach Strategico è un insieme di costrutti epistemologici e logici ben precisi ed evoluti. Le sue strategie e le sue tecniche non sono mai esecuzioni improvvisate, ma sono piuttosto l’espressione di una “tecnologia avanzata”, resa possibile dall’utilizzo di quella branca specialistica della logica matematica nota come “logica strategica” (da cui la denominazione di coaching “strategico”), dall’impiego delle cosiddette “logiche non ordinarie” (logica dell’autoinganno, della contraddizione, del paradosso), dall’adozione di una precisa epistemologia (quella costruttivista), e dalla costante interazione tra questi due livelli (logico ed epistemologico) con quello dell’applicazione empirica
Ma il coaching strategico rimanda anche alla saggezza di antiche tradizioni, come quella greca e cinese, che hanno saputo condensare le conoscenze, le abilità e l’intelligenza pragmatica nella raffinata arte della Metis e dello stratagemma cinese. E, parallelamente, all’affascinante mondo della comunicazione persuasoria che, a partire dai sofisti e dallo studio della retorica fino ai più recenti sviluppi della Scuola di Palo Alto ha permesso lo sviluppo di modalità di comunicazione suggestiva e ingiuntiva sempre più evolute, di cui il “dialogo strategico” rappresenta l’espressione più recente e raffinata.
Ed ecco allora un ulteriore aspetto che rende il coaching strategico distinto dagli altri approcci: grazie alle sue caratteristiche questo modello permette di ottenere una concreta efficacia in tempi brevi non solo quando si esprime nell’interazione tra due soggetti (il coach e il suo interlocutore, individuo o gruppo che sia), ma anche qualora ognuno di noi senta il bisogno di diventare “coach di sé stesso”.
Dal momento che ogni individuo è attivo costruttore della propria realtà, una volta acquisite le conoscenze strategiche necessarie ed esercitate le abilità essenziali, chiunque può diventare non solo capace di evitare pericolose “trappole” mentali, ma anche in grado di guidarsi in un percorso che gli permetta di uscirne rapidamente nel caso in cui vi sia rimasto intrappolato. Come il Barone di Munchausen, che caduto in una palude riesce a sollevare se stesso e il proprio cavallo tirandosi da solo per il codino, la persona può quindi impegnarsi in un vero e proprio processo di “self-coaching”.
Questo, ovviamente, a patto che la trappola in cui è caduta non sia ormai troppo profonda, caso in cui sarà invece necessario l’aiuto di un coach esterno.
Per tutte queste caratteristiche, e in perfetta linea con l’epistemologia costruttivista che ne è alla base, il coaching strategico mal si lascia incasellare in una descrizione precisa di ciò che “è cercando invece di distinguersi per ciò che “fa” e per “come” lo fa.
Il coach strategico“non fa niente di difficile; e dato che si limita ad innescare discretamente processi che si svilupperanno da sé, non fa neppure nulla di grande. Ma è appunto per questo che è in grado di compiere ciò che alla fine sarà grande.